Gli ultimi giorni sono stati molto sconnessi dopo la minilezione che ho dovuto tenere giovedi scorso per validare un seminario.

Da domani, o dopodomani al massimo dovrei avere una connessione a fibra in casa, finalmente! Con essa giungerà anche un numero di telefono fisso, incredibile. Chi fosse interessato puo chiedermelo direttamente qui, per chi già fa parte della lista standard dei miei contatti mail, giungerà domani in giornata.

Oggi cerco di riprendere le fila di queso blog povero, derelitto ed abbandonato postando la prima di una serie di tre riflessioni. Le prime due sono le traduzioni di due passaggi di un saggio di Thierry Jandrok che uscirà in libreria verso la fine di quest’anno, ma che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima. Il tutto è stato presentato al colloqui di Cerisy-la-Salle dal 21 al 31 luglio scorso, la terza invece sarà il mio personale intervento su quanto detto da Lovink negli ultimi tempi (come avevo preannunciato ho letto e riflettuto un po’)

La realtà virtuale I

 

Nel momento in cui un soggetto entra nella realtà virtuale, questa diventa per lui la sola e unica realtà. La realtà virtuale è il luogo dell’altro cibernetico, della cyberalterità. Nel suo universo multidimensionale, non ci sono grandi Altri, non ci sono figure simboliche che inglobano ogni codice, ogni grammatica, ogni significato possibile. Tuttavia ci sono innumerevoli piccoli altri, avatar, persone, cybercloni. Sono dei riflessi, delle immagini speculari della soggettività. La realtà virtuale è luogo della soggettività per tutte le soggettività, un luogo dell’uno aperto alla moltitudine. Nel momento in cui un soggetto vi si immerge, egli è in contatto solamente con se stesso. Egli ha il sentimento di una comunità, di uno scambio, di una condivisione che rispondono al registro delle relazioni. E questa realtà virtuale non è tuttavia altro che un al di là dello specchio. Essa è un’altra forma del pensiero di ciascuno che icontra il proprio riflesso nascosto. Gli uni e gli altri si fanno passare per altri soggetti mentre non smettono di giocare con la loro rappresentazione, con la proiezione della loro struttura del desiderio. All’interno di un mondi soeculare, non possono esistere alterità, “piccoli altri” (Cf. Lacan). Non ci sono che simili. E il simile sono io, sei tu, siamo noi, tutti quanti e nessuno allo stesso tempo. L’ingresso nel cyberspazio è una trasmutazione psichica, la rearticolazione di un’alienazione prima che Jacques Lacan descriveva come “Stadio dello specchio”. Lo stadio dello specchio altro non è che quell’istante durante il quale il bambino, che ancora non parla, si trova per la prima volta a confrontarsi con la propria immagine allo specchio.

La realtà virtuale, non riuscendo a superare questo stadio, manterrebbe il soggetto in uno stato antecedente a quello della maturità, mancando qualcuno capace di dirgli che quello allo specchio non è altro, ma lui stesso. La fuga nella realtà virtuale non sarebbe allora che una fuga da se stessi, dalla propria vita adulta. 

One thought on “Specchi di realtà”

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.