Traduco liberamente da “Prédire n’est pas expliquer”, libro-intervista a René Thom.

Sulla problematica del continuo e del discreto nella comprensione e nell’acquisizione umana di conoscenza:

Quando occore discretizzare? Lo facciamo per comprendere? E quando invece dobbiamo mantenere questa percezione della continuità? Per sentire, per presumere, abbiamo forse bisogno di questa trama continua mentre per categorizzare, comprendere e classificare dobbiamo ricorrere al discreto? In fondo anche lei pratica questa specie di alternanza permanente tra un’attitudine discretizzante e un pensiero che ricrea poi un quadro continuo.

Certamente. Non ricordo più quale matematico, durante il diciannovesimo secolo, abbia detto che la matematica rifletteva questi due bisogni propri al cervello umano: il bisogno di vedere, e non possiamo vedere se non attraverso il continuo, e il bisogno di comprendere, e non possiamo comprendere que il finito, il discreto dunque.

Questo sembra avvicinarsi al principio di indeterminatezza di Heisenberg: non possiamo avere entrambi allo stesso tempo.

Sicuramente. Se lo osserviamo, non possiamo più comprenderlo. Questo nel caso in cui si possa utilizzare il principio di Heisenberg. In fondo lo utilizziamo, ma non lo capiamo. I fisici, a forza di praticarlo, finiscono per acquisire una certa flessibilità. La meccanica quantistica è, incontestabilmente, lo scandalo intellettuale del secolo.

Cosa intende per scandalo?

Che la scienza ha rinunciato all’intelleggibilità del mondo; vi ha realmente rinunciato! E’ questo un qualcosa che si impone e che non è intelleggibile.

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