Quinto canto dell’inferno, commedia.

Dante Alighieri guarda bonario piazza Santa Croce gremita di persone. Diciamo 5.000 secondo gli organizzatori. Proprio quegli organizzatori che mi sento in parte di incolpare perché hanno perso i nostri due accrediti (anche se hanno poi rimediato tra mille scuse) in platea e sono riusciti a piazzarci all’ultimo in tribuna, ma soprattutto perché l’audio al di là della platea è stato davvero uno strazio. Almeno la metà delle persone intervenute (e paganti) ha convissuto per le due ore della lettura con uno dei peggiori echi che io abbia mai sentito. Assumere un buon tecnico audio, gestire meglio il volume, la disposizione delle casse o, semplicemente, ridurre il numero dei posti, sarebbe stato assai gradito.

Al di là della necessaria polemica che purtroppo non si riesce mai ad evitare in questo paese vorrei lasciare qualche riga al canto. Famoso per Paolo, Francesca e la loro triste storia tra i più è soprattutto una espressione indimenticabile della bellezza della poesia dantesca. Un’espressione da mozzare il fiato del termine amore, quello che fa dire alla bella Francesca che no, neppure all’inferno, per l’eternità dannata, debbono toglierle il suo compagno. Quello che è in fondo l’unica vera espressione di Dio in terra secondo il grande poeta fiorentino.

Un elogio alla Toscana, a Firenze e all’Italia intera, una ventata di ottimismo verso un paese che si sente sempre in diritto di bistrattarsi da sé, quando può. Un briciolo di sano orgoglio sullo sfondo del miglior razionalismo rinascimentale e poco conta se Benigni in fondo non riesce a dare una carica unica alla sua lettura, dietro di lui resta l’immagine del grande poeta che ha creato la cultura italiana prima che esistesse il paese stesso.

Per una sera la cultura era per la massa all’interno di una buona mediazione tra necessità alte e disponibilità verso la società intera, elementi che devono essere necessariamente legati tra loro.

Peccato giusto che solo la metà del pubblico sia riuscita a godersi in maniera degna lo spettacolo, ma chi di voi abbia occasione di prendere un biglietto per le prossime serate non esiti, Dante ha messo l’arte più alta, Benigni il suo inconfondibile stile e una passione che trasuda da ogni parola, da ogni gesto. Non credo ci sia bisogno di altro.


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