“Nous est un autre” Noi siamo un altro. Un’altra persona ? Un’altra creatura ? O semplicemente un’altra opera ?
Questa la prima domanda che credo venga da porsi davanti al libro di Michel Lafon e Benoît Peters recentemente uscito qui in Francia per Flammarion.

Si tratta di un saggio scritto a due mani, come si scopre durante la lettura, uno di quei casi (abbastanza rari) di collaborazione artistica e intellettuali giunti sani e salvi al termine. Giusto per non uscire dalla moda dell’autoreferenzialità aggiungo anche che questo libro, scritto a due mani, parla di libri scritti a due mani. E’ davvero possibile lasciare un’unica firma in fondo ad un’opera e riuscire a concepirla grazie a due persone che collaborino? O l’arte resta una creazione necessariamente personale?

Qualche tempo fa, all’interno di un post avanguardista mi domandavo quali altre coppie di pensatori che si presentassero come tali avessero avuto una certa notorietà; io ricordavo Deleuze e Guattari, ma potremmo senza dubbio aggiungere Marx e Hengels, Flaubert-Maxime Du Camp, Willy-Colette, Erckmann-Chatrian, Marx-Engels, Boileau-Narcejac e Borges-Bioy Casares come dicono gli autori del libro. Ce ne sarebbero di sicuro molti altri, in vari rami della creazione intellettuale; ora come ora mi viene da ricordare Sempé-Goscinny per il petit Nicolas, lo stesso Goscinny e Huderzo per Asterix, non saprei, i Taviani nel cinema? Christo e Jeanne Claude? I Wu-Ming… Credo ce ne siano ancora un bel po’, ma sempre minoritari, e in qualche modo rinchiusi nel canone del genere. Come mai?

Credo che nella storia della letteratura, compresa quella accademica e di ricerca, ancora più che nelle altre arti, ci sia una sorta di tabù della collaborazione. Si parla di movimenti, di scuole, ci si accomuna, ci si appoggia, si collabora, ma pare che alla fine il momento creativo, il contatto con le muse debba essere affrontato singolarmente. La firma deve essere una sola, la responsabilità anche, al massimo ci si puo concedere qualche ringraziamento.

Certamente le arti più complesse richiedono una maggiore capacità di dominare più strumenti allo stesso tempo e da qui potrebbe derivare una maggiore collaborazione riconosciuta, ma forse dovremmo leggere questo processo anche nei termini dell’importanza che la biografia dell’autore ha durante l’interpretazione dei testi.

Quando leggo un libro, infatti, ho tutta una serie di aspettative che derivano dal genere, da quanto ho letto, da quanto so dell’autore, dal contesto di produzione che posso recuperare insomma. E questo aggiunge valore significante a quanto scritto. Se mi trovo di fronte una doppietta di nomi, un individuo terzo di con so di non riuscire e di non potere cogliere con esattezza i limiti, la lettura stessa sarà modificata. Incompleta? Sicuramente straniante.

La mancanza di un autore unico viene quindi letta come un qualcosa di negativo? C’è davvero la necessità di responsabilizzare una figura per quanto leggiamo, c’è davvero la necessità di capire chi dei due ha scritto o a prodotto cosa anche all’interno dei testi prodotti da più mani, c’è bisogno di un autore perché un testo sia, in qualche modo, completo?

Non credo sia una necessità intrinseca alla produzione artistica, quanto piuttosto una pratica sociale ipercodificata che fino ad oggi non si è riusciti a rimuovere. Penso questo soprattutto alla luce delle modifiche che la scrittura sta avendo grazie ai media digitali, che concedono una maggiore libertà di movimento al lettore empirico, che gli permettono di costruire una parte dell’opera stessa.

Il quesito che ci si para pero davanti a questo punto è almeno altrettanto difficile e intrigante. In un contesto in cui è il lettore stesso a contribuire alla creazione di un’opera d’arte. Quale è l’opera d’arte in se all’interno della gamma di possibilità lasciate aperte dalla costituzione testuale della stessa? E, in un momento in cui le istituzioni culturali tradizionali perdono forza, su quale riconoscimento sociale una persona puo assumere il ruolo di artista e proporre come opera quella che normalmente non sarebbe tale?

La direzione attuale sembrerebbe quella della costituzione di un legame di fiducia diretto tra l’artista e il suo pubblico, diciamo una ricostituzione individuale e dal basso del ruolo sociale che è negato dalla società odierna a chi crea. Si passerebbe allora da una necessità di riconoscimento sociale che l’artista pone alla società a un ruolo attivo dell’artista in società, con quest’ultimo conscio del fatto che solo con il proprio lavoro egli potrà fregiarsi del ruolo che ritiene suo.

Una simile posizione credo ci permetterebbe di superare i limiti incontrati storicamente dalle avanguardie artistiche nei confronti della società contemporanea. Questa posizione potrebbe ridare slancio a quell’idea del’intellettuale come colui in grado di leggere il presente e preventivare mondi possibili, contribuendo al cambiamento invece di esserne semplice vittima o commentatore.

Non si tratta ancora di un manifesto, ma di una linea base di discussione. Se vogliamo ricreare il ruolo per certe figure forse dovremmo partire da qui, dalla coscienza della progressiva perdita dell’autorialità per concentrarci sul trittico autore-testo-lettore, che solo preso insieme potrà continuare a giustificare l’esistenza di certi modelli espressivi.

Sin da ora si raccolgono commenti, donazioni e proposte in vista dei prossimi passi, l’elaborazione di una teoria che parta da qui, la stesura della stessa e la creazione pratica di uno spazio in cui cominciare ad esercitarla. Si accettano consigli anche per il nome!!!

One thought on “De Avanguardia (bis)”

  1. io partirei da un libro che ho letto recentemente e appena uscito per costa e noland, disponibile pure in rete http://www.networkingart.eu/index.html dove la prospettiva è esattamente rovesciata. L’arte come networking e non come prodotto individuale.
    Arte che tra i 70 e i 90 è stata avangurdia e che oggi sta diventando prassi collettiva. Social network.
    di primo acchito mi verrebbe da pensare ad un arte popolare del futuro. Pupari, aedi e cantastorie che girano per mercati e community virtuali come in antichità facevano teatranti, musicisti e cantastorie.
    un parallelo quello del ritorno al mercato, alla fiera di paese già letto sul cluetrain manifesto per spiegare il ritorno al futuro del marketing.
    in fondo l’individualità e la diffusione di massa dell’arte è un prodotto dell’era industriale e le reti quell’era la stanno seppellendo. riepilogherò darò il punto della sistuazione e suggerirò volentieri. ciao

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