Ho trovato oggi un interessante articolo di qualche anno fa riguardo il ruolo dei finanziamenti americani che hanno aiutato lo stabilimento in cui studio a emanciparsi e a trovare un’identità propria.

Più volte durante l’anno accademico ho avuto modo di assistere a discussioni riguardanti i pareri discordanti che esistono riguardo le origini, l’orientamento e il ruolo dell’école e soprattutto di alcune sue componenti (quelle storiche, politiche e filosofiche in primis). Segnalo quindi questo pezzo pur mantenendo nei riguardi di esso una certa distanza.

Finora ho incontrato solo persone per cui effettivamente lo studio e la cultura sono l’unica cosa importante, ovvio, avendo un buon margine di libertà non ho incontrato gran parte di un eventuale polo opposto magari, ma credo sia importante far sempre notare come lo studio, la categorizzazione del reale, la stesura di paradigmi e teorie sia un’attività eminentemente politica. Dico questo nonostante la politica abbia dimenticato il ruolo della ricerca, il ruolo dell’istruzione, e lo dico per oppormi chiaramente a tutti coloro che sostengono che le due attività possano vivere in pace e distinte.

Nel momento in cui leggo un libro, scrivo un saggio o pubblico un’analisi sto facendo politica in qualche modo, sto influenzando l’enciclopedia del sapere collettivo grazie a tutta una serie di convinzioni che non si limitano al jargon tecnico della materia cui faccio riferimento, ma che implicano tutto me stesso, il mio essere, e con esso tutte le mie prese di posizione etiche, morali, politiche.

Che questo non passi mai in maniera inavvertita anche tra coloro che non scrivono, ma si limitano a leggere. L’ambito del politico, dividiamolo per comodità in “Politico ad alta intensità” (iscriversi ad un partito, fare una manifestazione ecc.) e “Politico a bassa intensità” (scirvere un saggio di ermeneutica delle scarpe da tennis cosi come decidere quale marca di tonno comprare ecc.) è molto più esteso di quanto ci farebbe comodo pensare.

4 thoughts on “Studio a Langley?”

  1. Tutto è collegato, le categorizzazioni, le teorie, come diceva Orkheimer, sono utili solo fino a che non vengono completate. In quel momento sono da buttare e rifare.

    Mica facile pero da accettare!

  2. Interessante, sai?
    Forse non si dovrebbe sezionare la vita dell’uomo ma semplicemente ammettere che tutte le componenti sono interdipendenti. Tra queste la politica, l’etica, etc.

    Forse ora capisco perchè appartengo ideologicamente al mio partito politico;) ahahah….

  3. Per le due cose…

    In primis, quanto sussiste una differenza tra etica e politica a livello pratico nel contesto occidentale? Nel senso, se non propugno un’etica che si rifiuta di contemplare il prossimo, posso davvero separare le due? O tutti gli atti etici sono in fondo costretti ad entrare in collisione con la sfera del politico dato che scegliere un prodotto piuttosto che un altro non deriva solo da una scelta riguardo l’ambiente, ma magari anche verso i finanziamenti di tale o tale azienda nei confronti di un partito politico o di una determinata lobby?

    Credo che le due sfere non siano separabili in realtà, anche se ci sono parti che dipendono maggiormente dall’una o dall’altra. Etica e politica vanno quindi di pari passo e a volerle separare si rischia di fare la fine della sinistra radicale, schierata contro tutto e che non puo proporre nulla per sua stessa costituzione.

    Per il secondo punto invece potrei dirti che si, si potrebbe e già si fa, ma siccome oggi la politica non va per niente di moda, mettersi a dire che tutto in qualche modo puo avere una valenza politica che effetti produrrebbe? Uno schifo ancora maggiore probabilmente.

    Ognuno dovrebbe essere consapevole dei risultati (quasi sempre imprevedibili tra l’altro) del proprio agire quotidiano, ma forse questa consapevolezza e questa pressione che inevitabilmente ne deriva non sono per tutti. Forse non tutti possono o hanno voglia di reggerli. E a parte dire questo, cosa si dovrebbe fare di più, costringerli forse? In base a quale diritto?

    Per questo ci si ferma qui e si vede se è possibile instaurare un dialogo, c’est tout.

    Un’ultima cosa…Non amo troppo i rapporti causa effetto, finanziare la ricerca non so quanto possa voler dire dirigerla. E dirigerla non so quanto dipenda dal finanziamento.

    Mi sa che il gioco sia abbastanza più complesso…

  4. Mi sento d’accordo con quel che dici, penso a Bobbio ad esempio e mi convinco, se non lo fossi già abbastanza, che si può fare politica (e tanta eh) anche fuori da un partito. Ho sottomano un articolo di qualche mese fa di Repubblica nel quale viene riportata una lettere in cui Bobbio, appunto, rifiuta la richiesta rivoltagli da Nenni di candidarsi al Psi. Lo fa giustificandosi, in un primo momento, dicendo che non è parte della sua natura l’impegno politico “militante” e, più avanti, sottolinea che il suo fare politica, il suo rimanere fedele al partito, può riuscirgli solo rimanendo nel posto a lui più congeniale: l’ambiente universitario.
    Concordo quindi sul fatto che chiunque possa e sappia far politica nei modi più impensati e meno evidenti. Credo anche che questa possibilità sia una grande forza per la politica stessa.

    Per il resto però mi verrebbe da chiederti due cose:
    1-non credi che si possa finire per il confondere la politica con l’etica? è davvero una presa di posizione politica il non bere la coca-cola o è semplicemente un comportamento etico rivolto alla salvaguardia dell’ambiente e delle popolazioni sfruttate e un piccolo aiuto quotidiano al risollevamento dei paesi in via di sviluppo?
    2-tutto fa politica. Questo sembrerebbe un po’ il sunto del nostro discorso se sei d’accordo, ma se siamo in grado di riconoscere la componente politica del nostro pensiero non sarebbe culturalemente onesto e giusto (e mi ripeto… etico) affrontare stuidi, scrivere articoli sui quotidiani, pubblicare saggi che sappiano rendere noti a tutti la politicità (esiste come termine?:P) dei nostri pensieri?

    Un conto è finanziare la ricerca, un conto è pilotarla politicamente, no?

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