Dato il dibattito degli ultimi giorni vorrei riprendere un attimo la questione della conversazione in rete, tra abitudini, percezioni e metodologia, facendo tesoro dei commenti raccolti per chiarire un po’ la mia posizione e progredire nella discussione.

Il precedente post non aveva innanzitutto alcuno scopo polemico né personale, esso era piuttosto un tentativo di creare un quadro di insieme in cui riunire le percezioni che ho sentito alzarsi dalla comunità italiana dei blogger dopo Torino, impressioni che, sarà difficile negarlo, hanno bene o male avuto una certa direzione.

Il problema di certo non sta nell’élite, nei suoi componenti reali o presunti o nelle leggi che la regolerebbero, quanto nel cercare di capire alcuni meccanismi di funzionamento della conversazione in rete, mettendone in luce alcuni aspetti che potenzialmente ritengo negativi e che, proprio per questo, meriterebbero maggiore attenzione.

Partirei dicendo che il mondo è fatto di mediocri. Questo al di là della rete e dei blog. La maggior parte delle persone è normale, nella norma, nella media. Solo la loro esistenza permette a pochi altri di emergere, la long tail non è un’invenzione della rete, è la nostra vita di ogni giorno, quando vediamo il ragazzo bravo del primo banco oppure quella biondina a cui non chiederemo mai il numero di telefono (sono conscio della mia deviazione mentale dovuta all’essere un maschio, sostituite liberamente con ragazza e biondino se del caso!). E’ la normalità stessa delle cose a creare certe differenze. Tuttavia qui anche il mediocre, ha lo stesso spazio del più famoso, è libero di parlare, di esprimersi e di trovare audience come normalmente non è abituato ad avere, da cui una certe inevitabile tendenza al lamento. Non nuova, semplicemente più ascoltata di prima.

Detto questo vorrei far notare come restino alcuni argomenti interessanti da trattare riguardo al tema.

Come prima cosa ripeto la necessità dell’educazione al mezzo. Non si tratta semplicemente di imparare ad utilizzare feed o piattaforme di blog, è una riduzione che non era nel mio post. Il blog non puo essere paragonato alla mail perché la mail è una lettera su supporto elettronico, il blog è invece un nuove mezzo di comunicazione. Nel primo caso una educazione tecnica è sufficiente, nel secondo c’è bisogno di un secondo tipo di educazione, quello capace di spiegare come muoversi, come si usa il nuovo giocattolo, come sfruttarlo al meglio. Si tratta come diceva Fabio di un’educazione critica, di un’educazione conversazionale, molto più difficile da apprendere soprattutto perché non può basarsi su manuali, ma solo sul contatto diretto, sull’esempio, sulla pratica.

Per questo io ho sempre affidato ai blogger più importanti un compito che forse secondo loro neppure gli appartiene, quello di essere un punto di riferimento etico e cosciente, quello di indicare la rotta chiaramente, quello di essere più disponibili del normale verso gli altri, proprio in virtù di questo ruolo di esempio, in virtù di chi li segue. Alcuni, e li rispetto enormemente per questo, lo hanno sempre fatto, lo stanno facendo, altri semplicemente non lo ritengono un loro compito, perché, è vero, nessuno li obbliga a fare qualcosa di altro che non sia rappresentare la propria personalità. Ma il blog nel momento in cui è conversazione non può limitarsi ad esserlo in forma privata, ricrea anzi una sorta di atmosfera pubblica, in cui i vip locali hanno lo stesso potere di quelli reali. Anche se spesso non se ne rendono neppure conto.

Per non andare troppo lontano con l’argomento credo che qui atterri anche l’idea cooperativa di cui Fabio ha parlato a Torino e che ripresenterà a Roma. L’idea è senza dubbio interessante, ma pongo una domanda, di quelle che sanno rivelarsi critiche. Fabio parla di una cooperativa italiana che unisca talenti nel settore dei nuovi media e prepari prodotti validi sotto un unico marchio. Essa sarebbe esentata dall’ideologia delle vecchie coop e io allora mi chiedo quale sia il collante. Quale sia il collante che tenga insieme un’alleanza debole come quella tra persone estremamente diverse e che non seguono un’ideale preciso. Alcune persone potranno trovarsi d’accordo tra loro, ma tante pare molto più complesso. Forse davvero solo il denaro può avere questo effetto in mancanza di una volontà comune ideologica quale che sia? Da riflettere sul punto.

Terzo punto da prendere in considerazione direi è il fattore BarCamp. Sull’onda del successo Milanese l’edizione di Torino è stata sopravvalutata. Il BarCamp non è nulla di nuovo, è la trasposizione in rete delle giornate dottorali che si svolgono ogni mese in università in cui ci si ritrova dentro un’aula con un filo conduttore, del caffè e del tè, qualcosa da mangiare e una giornata da passare. Il BarCamp è un quarto d’ora accademico prolungato, ma non è roba da novizi. Il blogger mediocre viene, ascolta, sente una qualche inferiorità e tenderà a non parlare, perché gli argomenti sono specifici, perché sente la pressione attorno di persone in qualche modo specializzate. Solo i più aperti, i più motivati usciranno al primo colpo da questa situazione, ovvero del ritrovarsi da persone normali in mezzo agli esperti. E le discussioni tra questi appariranno loro come una sorta di chiusura verso gli altri. Inevitabile direi. Il BarCamp è più conferenza di quanto vorremmo ammettere, è più elitario di quanto vorremmo credere, anche se lascia aperte le porte a chi ha voglia di farsi strada e crede di averne le capacità.
Si tratta davvero quindi semplicemente di far vedere che le strade sono aperte, di incoraggiare la partecipazione, facendo un po’ più dello sforzo che sarebbe normalmente richiesto. Sarebbe solo un bene.

Ultimo punto sul quale ritornerò nei prossimi giorni è quanto dice bgeorg nei commenti al post di Antonio sopraccitato, argomento del resto sul quale sto svolgendo le mie ricerche di tesi. Come ci poniamo di fronte alla scrittura digitale in rapporto a quello che è la scrittura tradizionale? E questo come modifica, se li modifica, i nostri processi di significazione?

Non ho assolutamente una risposta a questa domanda (la ricerca spesso è porre domande nuove e quasi mai dare risposte, ma del resto chi ci crede se gli dico chela teoria dell’agenda setting non è mai stata provata, che la semiotica come possiamo conoscerla sarà ribaltata da qui a qualche anno, cosa già avvenuta nel mondo accademico o che, più generalmente si creano teorie equivalenti tra loro o solo temporanee e che non ci sono certezze, né in sociologia, né in urbanistica né da nessuna altra parte. Nessuno lo accetterebbe), tra un anno mezzo vi consegnerò le trecento pagine di tesi, dove cercherò di andare un po’ oltre rispetto ad ora, ma una cosa sicura credo ci sia.

Giuseppe Granieri nella sua “Società Digitale” parlava del nuovo rapporto alla pubblicazione e del nuovo metodo di selezione dei contenuti. Quelli che avrebbero avuto maggiori collegamenti sarebbero stati i migliori, selezionati dalla rete invece che dall’accademia o dall’editore. Corrisponde questo alla verità oppure no?

A mio avviso è tutt’altro che garantito che il tutto funzioni in maniera cosi trasparente. I testi più collegati saranno quelli più pragmaticamente utili, quelli più vicini al fantomatico senso comune, raramente i più innovativi o i più complessi, per il semplice fatto che essi necessiteranno di un pubblico più esigente, di lettori più colti e di maggior sforzo intellettivo, irrimediabilmente meno disponibili.

Forse non saranno linkati e neppure commentati. Chi svolgerà allora domani il lavoro di selezionare questi testi e di metterli davanti agli occhi di tutti per far avanzare gli altri? Ci sarà bisogno dell’equivalente di un Science e ci sarà bisogno di dare al loro link un valore diverso rispetto a quelli degli altri. Ci sarà sempre bisogno di strutture elitarie, si formeranno da sé, e allora tanto vale prendere la palla al balzo e cercare di inserirvi questo punto fondante profondamente etico che manca in gran parte delle élite del mondo analogico. Tutti ti stanno guardando, sii d’esempio, sii maestro. Con il termine maestro usato all’antica, proprio come una volta.

P.S.

A volte mi chiedo come mai nonostante i miei intereventi dal grande spessore (nel senso di pesantissimi) estremamente interessanti (nel senso da far calare la palpebra) io non sia il primo della top 1 mondiale dei blog. Poi guardo la lunghezza media di un mio post e comprendo…
Scusatemi lettori affezionati, anche oggi vi porto via un’oretta di tempo!

3 thoughts on “Sui blogmediocri (parte seconda)”

  1. Pingback: Kurai

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.