Seguo Suzukimaruti e Carla e penso…

Sono indeciso se essere un filantropo o un povero illuso. Ipocrita no, non mi piace.
Il fatto è che non ho ancora capito cosa diavolo voglio vendere. Cioè, dico, io nella vita attualmente produco cultura. E già vendere della cultura sarebbe un bel casino. Ma sul blog ufficialmente neppure quello faccio. E allora che faccio?

Diciamo che dico la mia, che scambio pareri e produco un altro tipo di cultura, quella non ufficiale, quella del dialogo. Eppure non tutti la pensano come me, anzi, in pochi credo la pensino come me. La stragrande maggioranza delle persone sarebbe ben lieta di essere pagata per scrivere qualche post su cose che gli piacciono, e poterne fare un lavoro. A me questa cosa non ispira troppo. Sarà che vorrei avere già un lavoro nella vita reale o che dopo un mesetto mi stuferei di bloggare più di venti minuti al giorno per guadagnarmi da vivere. Mi parrebbe molto riduttivo.

Allora cosa ho fatto? Ho messo le creative commons, quelle 2.5, quelle che no, non puoi mica guadagnarci sopra. Quelle che possiamo chiacchierare si, puoi riprendere quello che ti pare, ma non farci soldi. Perché quel che io ti regalo è per te, sono gentile, almeno non andare a prenderlo, a infiorettarlo e a venderlo a qualcun altro.

Ovviamente non ho poi mai dato troppa attenzione alla cosa, ci sarà sicuramente qualcuno che mi ha citato e che guadagna due centesimi con adsense, ricordo una citazione su Avvenire (con mio incredulo stupore, tra l’altro), c’è stata qualche citazione su Apogeo. Non che ci sian diventati ricchi, ma hanno usato delle mie idee per riempire di contenuti i rispettivi vuoti. E loro coi soldi ci campano (gli ultimi due, il povero blogger lasciamolo stare!). E non ho detto niente, che per una volta va bene, la fonte è citata e se serve a fare entrare l’idea che se tutti diamo qualcosa, alla fine non c’è mica bisogno di tirare fuori dei soldi per…

Ora impazza l’idea delle metriche. Io partirei da qualche presupposto che non sembra essere troppo considerato:

Le metriche economiche sono balle pazzesche. Esse stanno in piedi solo perché il sistema economico le riconosce come valide e ci si adatta. Se io domani andassi in Istat a dire a tutti che l’inflazione a gennaio è passata al 4% sarebbe un bel casino economico. Ma non sarebbe vero. La macroeconomia delle metriche si basa sulla fiducia in dati che essa stessa ha creato. Ma non hanno valore effettivo
Le misurazioni corrette non esistono. Né in fisica né in linguistica. Da almeno un secolo anche ogni ricercatore in scienze dure sa di non poter misurare il mondo col righello, ma capita, pensa, e fa misurazioni che hanno “un certo senso” solamente all’interno dell’intervallo che gli interessa. Come gli economisti. Le metriche non hanno valore effettivo. In scienze umane poi siamo messi ancora peggio, le metriche ognuno se le fa come vuole, pone le premesse e tira le conclusioni, non c’è altro modo. E l’economia infatti fa parte delle scienze umane!

Ora qualcuno sa forse spiegarmi come calcolare affidabilità e fiducia in una persona? Anche sul blog della stessa va bene. Il fatto che io lo legga, cosa fa pensare che io sia d’accordo con lui? Il fatto che lui mi consigli qualcosa, cosa fa pensare che io possa poi andarla a comprare sul serio? Non possiamo stabilire questo in maniera univoca per tutti. Come facciamo?
Facciamo come sempre, inventiamo una metrica e le diamo un valore che non ha, ma agli occhi delle persone giuste. Quando gli attori economici la useranno essa avrà acquistato valore. Proprio come l’auditel ad esempio, che si sa dalla creazione che non funziona, ma ancora decide quali programmi vanno e quali restano, al di là di quanto pensano gli spettatori.

Ecco cosa non mi piace di questo inizio anno. Non mi piace che siamo arrivati al punto in cui ci vogliamo vendere e ci dobbiamo quindi inventare un modo per darci valore. E via allora a parlare di classifiche e visitatori e quant’altro.

Chiediamoci piuttosto cosa vogliamo vendere. Si diceva che il blog non è altro che la rappresentazione dell’identità digitale di una persona? Bene, state vendendo la vostra personalità. Non vi sentite un attimo sminuiti?

Io non sono d’accordo con queste aspettative, non le condivido. Già mi scoccia molto vendere il mio lavoro per vivere, perché, grazie a Dio, sono cose che farei per diletto se semplicemente avessi di che campare di rendita. Ma vendere la mia personalità proprio no. Anzi, sapete che dico?

Che se comincia a prendere piede questa mania del “vendiamoci tutto” che già mi assale nella vita di ogni giorno, quella 2.5 comincio a prenderla sul serio, e non lascio che nessuno ne tragga nulla.

L’ultima volta che ho passato del tempo in Italia era settembre, ero a casa, in una settimana mi ha telefonato Fastweb. Tre volte. La prima ho detto no. La seconda ho detto un no bello sgarbato, chiedendo di essere rimosso dal database. La terza li ho minacciati di denuncia. Alla quarta sarei andato al call center con un’uzi a tracolla. Fortunatamente sono partito prima.
Cosa cambia se un blogger nei suoi post o nel suo template fa pubblicità? Andare a casa sua con la mitraglietta non sta bene, chiedergli di togliere gli spottoni non posso, che sono a casa sua. Allora evito di tornarci, che i consigli per gli acquisti, anche dagli amici, non li voglio. A meno che non li chieda espressamente, a meno che non vengano casualmente, all’interno di altri discorsi.

Pensateci bene, quanti di voi sarebbero contenti di un amico che vi consiglia sempre cose da acquistare quando voi vorreste parlare di altro? Forse meglio cambiare amicizie.

Il problema è semplice, si va davvero verso i blogger professionisti e quelli amatoriali, e io sto cosi bene tra quelli amatoriali, senza troppe pretese, vengono, ti dicono la loro, magari vi incontrare e vi scambiate delle esperienze. Vi arricchite dentro e portate questa ricchezza sul vostro luogo di lavoro, qualunque esso sia, in cui vi guadagnate da vivere. Forse grazie al dialogo otterrete un successo insperato, e allora saremo in due a festeggiare.

vendere, ottenerci qualcosa deve restare solo un errore che capita non voluto. E capita, è questo il bello. Altro trovare modi per tirar su due lire dalle visite, qui si perde veramente il senso del concetto di ricchezza.

Ma ad ognuno le sue scelte, come è giusto che sia, io so solo che nel clima che impera dovrò cominciare a fare maggiore attenzione alla mia trascurata 2.5. E poi, quando sarà chiaro che una licenza non riesce a impedire che le idee circolino, che tu stesso, nelle tue idee, sei frutto della mercificazione altrui, cosa fare? Semplice, pubblicare solo cose che hai già venduto altrove, passare dai post ai comunicati stampa.

Se volete sapere in tempo reale quel che penso su un qualche argomento andate in libreria e comprate la rivista in cui ho scritto un articolo per cui mi hanno pagato. E allora, anche se mi leggevate, quanti di voi lo farebbero?

Cavolo, e tutta la fiducia che vi avevo sottratto?

10 thoughts on “A me la fiducia!”

  1. “è come se ci fosse una linea di confine”, ho detto, “oltre la quale non si puo far finta che tutto sia uguale, che tutto va bene”.
    “Che tutto va bene, che tutto è uguale?”, ha chiesto.
    “Che le opinioni sono tutte rispettabili, gli atteggiamenti tutti tollerabili-Stare insieme e lasciarsi. Stare da una parte e dall’altra. Stare incazzati e-“
    “Secondo me”, ha ribattuto, “ma te lo dico sinceramente, tu vivi in un mondo completamente astratto, fatto di battaglie mentali- Battaglie mentali che sono soltanto tue”.
    […]
    Lei ha detto: “Che?”
    E io ho detto: “Hai presente Nanni Moretti nei primi film quando se ne andava senza ascoltare, troncava nel mezzo delle conversazioni? Facci caso adesso, che invece si mette li e se le sorbisce tutte, lui e il pubblico. Per favore. Ciao”.

    Ecco, stavo leggendo questo nel mentre scrivevo. Ora, chi trova la citazione merita un ottimo premio, per il resto lasciato prendere un po’ troppo nessun problema a dire si, ma il nocciolo non cambia, non credo evada il problema.

    Una commistione, un imbastardimento economico tra gratuito e commerciale, portando la differenza anche ulteriormente, a livello dell’individuo lui stesso difficilmente sarà foriero di qualcosa di buono.

    Serviranno nuove norme per proteggere coloro che si dedicano all’attività vedendola dal lato del no profit, altrimenti davvero, si rischia di arrivare ad un punto in cui si limiterà ancora maggiormente la circolazione del sapere.

  2. Simone, l’impressione è che tu ti sia lasciato prendere un po’ troppo. E’ verissimo che non tutto si vende (Maurizio, mi dispiace ma stavolta non sono d’accordo con te), ed è vero pure quelo che dice svaroschi: “Mi sembra che qui si tenda ad avere paura che “gli altri” non abbiano sufficiente senso critico.”
    Un blog è un territorio di libertà, altrimenti chi ce la fare? C’è chi sceglie di scrivere i fatti suoi e chi non disdegna di cavarci anche dei guadagni, ma perchè deve esserci per forza una posizione giusta e una sbagliata? Io la mia scelta l’ho fatta: per lavoro mi occupo di marketing, comunicazione e internet, ma l’identità digitale che ho deciso di costruirmi è di tutt’altra natura, osservo quello che succede a me o intorno a me e lo racconto. Certo, se un giorno qualcuno mi dicesse che aprendo un blog in cui parlo di marketing e comunicazione e internet potrei guadagnare dei soldi (non parlo di quelli che girano ora, ma di quelli che da qui a poco gireranno, capisci a me), credo proprio che direi di sì. Perché la mia personalità non è in vendita, ma il mio lavoro sì. Il lavoro, non la cultura, che è affare diverso.
    E quanto alle misurazioni, è ovvio che si sta cercando un modo per vendere i blog alle aziende, e siccome le aziende sono così sceme da credere ancora ai GRP, serve un corrispondente del GRP. Punto e basta, nessun mistero. Questo non ucciderà la blogosfera, solo la imbastardirà in alcuni punti (per tornare alla mappa). Ma non è il caso di farne una malattia.
    Leggerti è sempre un piacere.

  3. Non so se sia la foga/fastidio/sensibilità con cui a volte scrivo che faccia perdere di vista il punto. Se dico che vedo una tendenza che non mi piace e forzo la descrizione.

    Per me è ovvio che la tendenza avrà un fine, non resta fine a se stessa, una tendenza per definizione verte verso qualcosa. Il qualcosa verso cui verte temo sia l’estremizzazione che io descrivo nel mio post.

    Cerco di intravederla, la critico sperando non si realizzi. Non mi va di limitarmi al ruolo passivo del commentare i fatti, i fatti vanno creati.

    Se io mi lamentassi delle tendenze senza andare oltre, tra qualche anno, quando esse saranno divenute magari stati di cose fissi e immoti, cosa faccio? Comincio a dire che l’avevo detto?
    Non lo sento il mio ruolo. Il ruolo che voglio rivestire è attivo, propositivo, non sto nei libri, sto nelle cose.

    E stiamo attenti a non scambiare retorica e impegno, melodramma e idee. Amore, sacrificio ed etica, li svendiamo ogni giorno, con una abitudine tale ormai, che non crediamo esistano nella vita reale, ma solo sui libri, come qualcosa di astratto.

    Non è cosi. Essi sono parte integrante della quotidianità, se arriviamo a dar loro spazio.

    Se poi si preferisce guardare le cose facendo finta di starne fuori, è una visione del mondo semplicemente diversa dalla mia, che comprendo, ma rispetto fino a certo punto, perchè presenta, credo, molti più limiti di quella a cui cerco di rifarmi

  4. Quando si parla di essere prolissi non sfidare la fortuna: talvolta ho il dono della sintesi, talvolta…

    Allora, per una volta ne faccio suo per farti una domanda, dato che non ho capito parte dello spirito di fondo: perchè bisogna ipotizzare una estremizzazione delle tendenze attuali e forzare un po’ le reazioni, anche in modo un pochino melodrammatico, citando valori, amore, aiuto e sacrificio?

    Siamo sicuri che estremizzare costituisca un valido contributo alla produzione di riflessioni (cultura? può essere?) in questo senso?

  5. Wow, un commento che gareggia in lunghezza con i post, sono…soddisfattissimo!

    Il post che sta qui a sinistra ovviamente è una presa di posizione che tende un poco a forzare i ruoli. Esso è la reazione che sarebbe, secondo me, lecita nel caso di una estremizzazione di certe tendenze attuali che vedono nelle metriche e nella pubblicità qualcosa più di quanto dovrebbero essere.

    Non parlo di classifiche o altro, parlo di metriche che vogliano valutare l’affidabilità, l’influenza di una pubblicazione sui lettori allo scopo dichiarato di vendere, pubblicità nel caso specifico.

    Di questo parlo e non di altro, rifacendomi ai due post citati e all’ultimo articolo di Granieri su Apogeo. Non confondiamo le cose.

    Il punto fondamentale toccato credo sia un altro. Si stanno facendo largo due tendenze a mio avviso. Una che vede la pubblicazione del singolo in linea come scambio gratuito, dai piacevoli effetti (anche economici) collaterali,l’altra che la vede come un’attività economica come le altre. Con la quale io non sono d’accordo finché essa venga fatta rientrare dalla riflessione nelle tradizionali e canoniche attività economiche.

    Non dico altro.

    L’attrito tra le due visioni avviene quando qualcuno prende gratis dagli altri e lo utilizza per farne soldi. E sarà un problema che prima o poi verrà fuori in maniera decisa. Già se ne è discusso un poco allo scorso barcamp grazie a mafe.

    Questo attrito mi spinge a pensare come dovrei comportarmi nel caso specifico. Perché regalare agli altri quando poi il mio dono sarà usato da molti per il proprio profitto? Perché non basarci tutti su questa logica allora e vendere soltanto agli altri, senza regalare nulla.

    Da qui l’esempio della rivista, che poteva essere un quotidiano, una newsletter su abbonamento, una raccolta di figurine. Non importa lo spazio o la forma.

    Il confine, ovviamente, è per ora tutt’altro che netto, ma le direzioni sembrano intravedersi. Non condividendo i principi basilari ed etici di una di queste due mi permetto una presa di posizione rigida. Più di quanto faccio in realtà ogni giorno. E lo faccio con l’ovvio intento di creare dibattito e riflessione.

    Credo resti chiaro il fatto che non scrivo per far comprare un mio articolo, e se qualcuno lo fa, lo considero uno dei piacevoli effetti collaterali della rete. Se scrivessi per quello invece le cose cambierebbero secondo me. Sarei un’azienda a tutti gli effetti, con annessi e connessi.

    Questo punto è la chiave del discorso, e qui dobbiamo riflettere. L’affidabilità sarebbe ancora della persona o sarebbe dell’azienda? E quindi ascolterei il consiglio di un amico o di un “amico” interessato? Sfido chiunque a saper trovare la demarcazione tra le due. Neppure l’etica più salda sa tenere i campi fermamente distinti. Crediamoci, ma non lo credo possibile.

    Il sistema, grazie a Dio, non diviene di colpo inutile, ma rendiamoci conto che ne stiamo attaccando, a mio avviso, alcune delle basi più importanti, di sicuro alcune delle più belle. Quelle che maggiormente marcavano la differenza con la più becera e svenduta quotidianità.

  6. Probabilmente sulla rivista scriverai cose diverse rispetto a quelle che scrivi sul blog.
    Probabilmente parli di argomenti diversi e/o ne scrivi un modo diverso – e su una rivista hai ben più spazio per scrivere cose più complesse, presumo.
    E se mi piace come scrivi e come argomenti (e mi interessa l’argomento di cui parli, ovvio), io vado a comprarla, la rivista.
    Vado a spendere dei soldi, non perchè *so* di essere d’accordo con te, ma perchè *penso* che presumibilmente dirai cose interessanti e che mi faranno riflettere e sviluppare ulteriori pensieri.

    Ora, prima di leggere il tuo blog, io non sapevo della tua esistenza. Ti farebbe proprio schifo se comprassi una rivista con un tuo articolo perchè mi sono fatta una buona opinione delle tue capacità leggendo il tuo blog?
    E se al tuo blog ci fossi arrivata seguendo una delle classifiche riterresti di aver svenduto la tua personalità (un pochino esagerato, permetti)?

    Il concetto di “affidabile” mi pare che tu lo fraintenda: se io ritengo una persona affidabile ascolterò quello che ha da dire ritenendolo dotata della sufficiente onestà intellettuale da dare/darmi un buon consiglio.
    Poi scelgo io.
    E non funziona così solo con “le persone affidabili” (che sono persone, te lo ricordo!), ma con tutte le persone.
    Non comprerei un maglione senza provarlo e vedere come mi sta, nemmeno se me lo consigliasse la mia migliore amica, in cui da undici anni ripongo estrema fiducia – e che sa come mi può stare addosso un certo maglione.
    Però, se lei me ne parla, è molto probabile che io vada nel negozio a provarlo.

    Mi sembra che qui si tenda ad avere paura che “gli altri” non abbiano sufficiente senso critico.
    E chi siamo noi per avere paura per loro? Non è il caso: chi non ha senso critico continuerà a non averlo. O se lo formerà, nel migliore dei casi.
    Però dire che tutto il sistema non serve a niente non finisce per essere un tantino sterile?

  7. Calma, calma Maurizio, non tutto si vende. L’idea che tutto sia vendibile, che tutto sia merce di scambio previo un qualche tipo di pagamento non è scontata, e non è obbligatoria.

    Solamente è estremamente diffusa nella nostra società. A meno che anche il sacrificio per gli altri, che anche gli aiuti disinteressati, che anche l’amore stesso tu non voglia considerarli vendite.

    La comunicazione non va confusa con la persuasione, qui dobbiamo fare attenzione.

  8. E’ innevitabile si vende sempre. Vendere significare indurre ad agire e quando comunichi lo fai quasi sempre perchè vuoi modificare una percezione. Il concetto di vendita di cui si parla in questo dibattito in corso è ampio.
    Si può evitare di vendere, ma non di comunicare, e comunicando si influenza sempre qualcuno.

  9. Il fatto è che non c’è niente da fare, si vuole economicizzare ogni singolo angolino delle nostre vite. Ma dico, è come se un amico venisse li e mi chiedesse dei soldi per parlare con lui! Ma io chiamo la neuro e parlo con la sconosciuta a fianco! (soprattutto se giovane, carina e disoccupata)
    Non prenderla come un’offerta, ho un futuro da ricercatore precario, non sarebbe carino provarci sapendo già la rovina prevista!

    Qua prendiamo proprio una brutta piega, L’unica pubblicità che potrei accettare è l’abbonamento. Tu scrivi, se mi piace quel che scrivi ti lascio un obolo, offerta libera.

    Tutto il resto no, faro semplicemente come faccio nella vita reale, tutti coloro che propongono senza che io abbia chiesto li taglio fuori.
    E senza rimpianto
    Poi che si vendano quel che pare a loro. Tra loro appunto

  10. Assolutamente d’accordo!
    Ho aggiornato l’articolo di qualche giorno fa con il tuo link!
    Credo che la differenza sta nel cambio generazionale: chi vuole far soldi con il blog ha già passato la fase entusiastica, quella puramente relazionale nella quale si viene appagati dal piacere di conoscere molte persone con interessi simili ai propri, che non si trova no solitamente così facilmente nel proprio circolo di conoscenze “analogiche”.

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