Non mi sono mai considerato un grande fan dei biocarburanti. Li ho sempre trovati una soluzione di ripiego con molti danni.

Utilizzare la produzione di cereali e simili per farne benzina e tentare di sostenere un’economia disgraziata come la nostra non mi sembrava essere un’idea con un futuro certo.

Poi, appena questi hanno cominciato ad essere realmente utilizzati, ci siamo subito accorti che per produrne una miserabile quantità è necessario affamare ulteriormente il pianeta.

Oggi leggo persino che il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen ha appena terminato uno studio che incriminerebbe le cosiddette benzine bio anche da un punto di vista strettamente ambientale.

Lo scienziato, stima infatti che per la maggior parte dei biocombustibili le emissioni di N2O sopravanzerebbero largamente il CO2 risparmiato. L’unica biomassa che può dare luogo ad un leggero risparmio di CO2 sembra essere la canna da zucchero: per ogni kg di CO2 risparmiata da combustibili fossili, vengono emessi da 0,5 a 0,9 kg di CO2 equivalente attraverso il rilascio di N2O.

Tutti gli altri biocombustibili sono bocciati da Crutzen senza appello con emissioni che vanno in media dal 50% al 70% in più rispetto ai carburanti fossili.

I biocarburanti dunque non solo rendono estremamente più cari gli alimenti di base per gli esseri umani e ritardano lo sviluppo delle energie rinnovabili togliendogli fondi, ma non convengono, stando alla ricerca, neppure da un punto di vista energetico e soprattutto non riducono l’effetto serra, anzi, lo aggravano.

A me basterebbe sapere questo per rivolgere lo sguardo altrove. Spero ci sia la stessa prontezza nel pensiero di chi si occupa di prendere decisioni in merito.

Trovate qui la ricerca integrale di Crutzen

2 thoughts on “Rimedi peggiori dei mali”

  1. Cara Carmen,
    Ti ringrazio per le spiegazioni aggiuntive che hai lasciato.

    Comprendo perfettamente la tua posizione, nonostante questo non modifichi la mia.
    Mi spiego meglio.

    L’espressione corretta che avrei dovuto aggiungere al testo di sopra sarebbe stata che i biocarburanti sono più dannosi dei combustibili fossili “mantenendo costante la metodologia agricola attuale, fertilizzati a base azotata in particolar modo”.

    Questo non toglie che, a mia conoscenza, tutte le metodologie sostenibili oggi utilizzate abbiano una resa minore dei fertilizzanti a base azotata (che comunque dovranno essere sostituiti appena possibile), mentre i biocarburanti sono sulla cresta dell’onda e sono oggetti di una incredibile bolla di finanziamenti (soprattutto oltreatlantico). E’ una questione di tempi.

    Fino a che non ci saranno soluzioni economicamente e produttivamente vantaggiose, occorrerebbe, a mio avviso, osteggiare lo sviluppo dei biocarburanti in base ad un semplice principio di precauzione privilegiando altre strade che, ad oggi, presentano minori inconvenienti.

    Questo del resto senza contare che i biocarburanti come vengono maggioritariamente intesi in occidente non derivano da produzione agricola eccedente o di scarto, ma da produzione coltivata appositamente e acquistata sul mercato. Questo provoca un aumento indiscriminato dei prezzi delle derrate alimentari, risospingendo alla fame un numero troppo elevato di persone non appartenenti alla ristretta cerchia dei benestanti del mondo.

    Riprendendo Beck si potrebbe dire che il problema qui non è solo chimico o agronomico, non si tratta semplicemente di concimi e azoto rilasciato in atmosfera, ma si tratta di un problema che è anche, e soprattutto, economico e politico e che quindi deve essere trattato non escludendo queste componenti, forse addirittura le più importanti.

    Inoltre non vedo più di tanto l’allarmismo spicciolo. Ho detto che avevo delle motivazioni a priori contro i biocarburanti, ho notato che allo stato attuale dei fatti essi sembrano non essere convenienti neppure dal punto di vista ambientale ed ho espresso il mio pensiero, ovvero che gradirei maggiormente che i fondi fossero stanziati per migliori scopi, non essendo essi infiniti. Tutto qui

    La tua lettura di Crutzen è quella che darei anche io da esperto del settore in rapporto alla problematica intesa in senso stretto. E’ quello che del resto faccio quotidianamente nel mio campo di ricerca.

    Ma qui, da cittadino, restando su un piano politico-economico e sullo stato di fatto attuale ritengo sia corretto leggerla e reagire altrimenti.

    E’ un grosso problema questo, problema legato alla metodologia scientifica, al suo modo di porsi e ai suoi nodi consustanziali col potere economico e politico, non possiamo fare finta che non esista. Non possiamo fermarci ad una lettura dei fatti “scientifica” (per quanto la scientificità faccia finta di esistere del resto) quando non siamo ad una riunione di specialisti. Questa scienza, appena uscita dai nostri laboratori, diviene altro. E deve essere trattata di conseguenza.

  2. Caro Simone, condivido l’opinione che i biocarburanti non siano l’unica soluzione ai comustibili fossili. Ma da qui a fare dello spicciolo allarmismo ce ne vuole! Invito te e altri blogger che hanno scritto sulla ricerca di Crutzen a
    1. leggere per bene la ricerca, intendo proprio a fondo, dall’inizio alla fine
    2. aiutarsi con un dizionario di inglese se non si padroneggia la lingua e soprattutto non si mastica il linguaggio tecnico ambientale in inglese (cosa che io faccio molto bene avendo studiato la materia in Australia)
    3. non perdersi in allarmismi che non fanno che inasprire il già difficile dibattito sui biocarburanti
    4. farsi una cultura sui metodi già esistenti per ridurre la produzione di N2O, che non deriva dal biocombustibile stesso ma dall’USO DI FERTILIZZANTI SINTETICI nella produzione agricola di piante per biocombustibile.

    Il problema è l’uso di fertilizzanti chimici a base azotata, che rilasciano una maggiore quantità di N2O rispetto alla fertilizzazione organica o con l’alfa alfa biologica (vedi http://www.greenplanet.net/content/view/14255/ e http://crops.confex.com/crops/wc2006/techprogram/P18105.HTM e ancora http://www.ipni.net/ppiweb/sechina.nsf/$webindex/A1D6ADA378E165F548256C620031BF9E?opendocument&navigator=home+page). E comunque un’applicazione irragionevole di fertilizzanti a base azotata, sia biologici che chimici, porta in ogni caso a perdite di N2O.

    La chiave di lettura della ricerca di Crutzen più corretta a mio avviso è quella per cui si dovrebbe puntare ad elaborare metodi di agricoltura che riducano l’emissione di N2O tramite l’utilizzo di tecniche avanzate e sostenibili e la messa al bando di fertilizzanti sintetici.
    – Carmen

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