Su LeMonde di oggi trovate un interessante articolo di Christian Salmon sulle primarie americane.

 

Salmon, membro del CRAL presso l’EHESS ha studiato nel corso degli ultimi anni la moda, principalmente americana, dello storytelling ovvero dell’arte di provocare modificazioni del reale facendo ricorso alla narrazione.

 

Questa metodologia è stata applicata con incredibile sistematicità durante l’era Bush, tentando spesso di costruire narrazioni improbabili, ma non per questo meno funzionanti (tra queste ricordiamo il finto dossier sulle armi chimiche di Saddam, le reti terroristiche sventate senza che mai si vedessero i processi o anche semplicemente gli arrestati o i livelli di allarme che salivano e scendevano a seconda dei bisogni della presidenza).

 

In breve Salmon presenta questa nuova metodologia della paura, del controllo dell’informazione, della creazione della narrazione perfetta che sa sostituire le idee e ingannare anche per lungo tempo i cittadini rispetto a quella che è il reale stato delle cose.

 

In questo breve pezzo viene presentato colui che ha costruito e sta costruendo la storia di Obama, colui che più che le idee del candidato democratico sta vendendo un’idealizzazione della sua storia, del suo sogno americano agli elettori. Lo segnalo giusto per aggiungere una piccola tessera al grande mosaico dello scontro tra i fatti e le narrazioni di quello che avviene nel mondo. Mosaico di uno scontro folle del resto, dato che da una parte si tende a naturalizzare tutto quanto possibile, arrivando a sostenere che ci siano dei fatti che possano essere riportati in maniera oggettiva (fantastico a proposito leggere i commenti dei supporter di grillo negli ultimi giorni. Tutti a richiedere fatti che non siano inquinati da nulla e nessuno. Comprensibile certo, almeno in Italia, ma ignari spesso di come questo sia del tutto impossibile) e dall’altro dall’incredibile aumento delle narrazioni di questi fatti, sempre meno basate sul reale.

 

Non riesco in fondo a capire questo rifiuto per un termine, come quello di interpretazione, che dovrebbe essere forse il più utilizzato della nostra lingua e che invece sembra ridotto ad essere proprio di una minoranza, sempre più schiacciata tra la valanga di questi due estremisti.

2 thoughts on “La narrazione e la politica”

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