Riporto anche qui un lungo commento lasciato dai maestrini a proposito dell’interessante tematica che riguarda lo scarso uso della rete da parte della comunità scientifica. E’ vero? Perché? Alcune ipotesi:

Il mondo della ricerca usa molto la rete (del resto l’ha inventata). Il problema è che usa reti private.

C’è sempre maggiore condivisione di database privati, di materiali interni e di conversazioni private tra ricercatori che vivono sparsi qua e là per il pianeta.

Non esiste, o quasi, un utilizzo pubblico della rete. Per una serie di motivi pratici penso.

In primis il mondo della ricerca vive sul riconoscimento dei risultati tra pari. Occorre quindi pubblicare su riviste, presso editori, presso università riconosciute e nella maggior parte dei casi non viene lasciata grande libertà di distribuire il materiale al di fuori dei canali ufficiali. Se un ricercatore non pubblica qui, non fa parte del mondo della ricerca e non avrà, di conseguenza, contratti, posti e quanto ne consegue.

Occorre inoltre ricordare che oggi il mondo accademico altro non è se non un mercato delle idee. Ci sono sempre più persone che portano avanti lo stesso progetto in diverse parti del mondo. Condividere le informazioni non è utile per paura che gli altri possano arrivare prima di noi e prendersi il merito (e i conseguenti riconoscimenti) delle scoperte proposte. Si condivide, certo, ma solo a ricerca conclusa, solo quando ormai si sta per passare ad altro. Non prima.

Altro punto che ritengo rilevante è inoltre la distinzione tra ricercatori e divulgatori. Le due figure non spesso combaciano. La maggior parte dei ricercatori è soddisfatta del confronto che può avere coi suoi pari, non è interessata a spiegare, a divulgare i propri risultati. Quindi non condivide con un linguaggio accessibile quel che fa. D’altro canto coloro che divulgano lo fanno per lavoro, e condivideranno solo nei casi in cui questo possa portar loro un qualche tipo di beneficio economico.

Attualmente mi pare quindi che si vedano alcune tendenze:

i)C’è un effettivo sviluppo di strumenti di condivisione interna tra laboratori, all’interno di grandi strutture scientifiche (qui in Francia il CNRS ad esempio)
ii)C’è un sempre maggiore contatto tra ricercatori presi singolarmente che collaborano e condividono materiali tra loro (questo avviene su strutture private o nella classica forma, via mail e simili)
iii)C’è una netta frattura tra ricerca e divulgazione per via della specializzazione e dell’impostazione che viene data alle scienze (sia sociali che esatte)
iv)Il mondo della ricerca si basa ancora su un assunto che incita alla competizione tra singoli e tra struttura, anche se questo rallenta le idee e blocca la ricerca. Fino a che il mio stipendio dipenderà dalla mia produzione personale a breve termine e non dall’avanzamento collettivo della ricerca, perché dovrei rendere noti i risultati dei miei lavori in corso? Ovvio che aspetterò di completare il progetto per poi presentarlo laddove possano giungere i massimi riconoscimenti per la mia carriera. E di solito questo non è, purtroppo, il mio blog.

Anche se in tanti stiamo lavorando per modificare questo stato di cose che no, per fortuna non è né necessario né definitivo.

8 thoughts on “Sullo scarso uso della rete da parte della comunità scientifica”

  1. Ahah!!!

    Beh, occorre pur qualcuno anche per occupare quei pochi posti nel mondo accademico e aprirli al resto del mondo no?
    Proviamo a fare anche questo mentre usiamo la rete e cerchiamo di trarne i lati che riteniamo siano migliori.
    Altrimenti cosa giocheremmo a fare?

  2. Beh, la Società della Conoscenza ha le sue complessità e problematiche ma nel complesso aumenta la gestione e produzione di conoscenza.
    Poni dubbi e poi mi dici che te la giochi su entrambe le possibilità? Ma allora? 😀

  3. Come darti torto… Io sono proprio uno di quei senza speranza che prova a trovare un posto qua o là, quindi effettivamente niente di nuovo!!!

    Per il paradosso della società dell’informazione invece. Se da un lato è vero che non c’è mai stata cosi tanta conoscenza a disposizione dell’umanità, bisogna anche ammettere che essa è divenuta un bene commerciale come tutti gli altri.
    La pubblicazione, lo stoccaggio, la metodologia di ricerca dell’informazione in rete oggi dipende esclusivamente o quasi da fattori commerciali. Non si puo far finta di nulla. La libertà di cui la rete ha goduto nei primi anni di vita non le è dovuta per ragioni di nascita, non è detto resterà (ed è già diminuita rispetto all’anarchia iniziale).

    Inoltre noi continuiamo a parlare di rete, facendo finta che ce ne sia una sola. Invece sono un’infinità di reti interconnesse e sovrapposte, la maggior parte non accessibili ai più a formare la società della conoscenza.
    Ed è questo groviglio di reti orizzontali e verticali la società della conoscenza. Molto meno democratica e libera di quanto pensiamo. Questo, che considero un paradosso, e su cui non tutti sono d’accordo, mi pare l’elemento fondamentale da non scordare per poter cercare di migliorare le cose.

    Per il resto ovvio, ciascuno cercherà la propria strada dove pensa di trovar posto e se un giorno fare ricerca e pubblicare in proprio renderà possibile l’autofinanziamento saro estremamente contento. Cosi come ora sono contento quando vedo aprirsi qualche spiraglio. Nel frattempo continuo a giocarmela sui due fronti, mirando ad un posto e all’apertura che possa rendere più utile quell’eventuale posto…

  4. Allora, c’è una massa crescente di laureati e giovani ricercatori senza speranza, vista la condizione tragica dei finanziamenti e investimenti, che attraverso la rete si costruiranno nuovi canali che magari non gli daranno una cattedra ma magari lavoro e opportunità fuori dalle università. Quindi, basta con questa “dipendenza” da professori e istituzioni varie come unica via. La rete è veloce a cambiare le cose.
    Nessuno vuole intaccare la ovvia necessità dei ricercatori di tutelare la segretezza di certi progetti prima della pubblicazione. Non c’è conflitto in questo senso, non si tratta di una logica “o o” ma “e e”. Ovvio che chi è già molto inserito nel sistema e ha investito tutto su quelle logiche non sarà il primo a svilupparne di alternative, ma una volta aperti certi canali anche chi è titubante si muoverà.
    I ricercatori non sono interessati a divulgare, bene si vedranno soffiare sotto il naso questa crescente domanda, poi vediamo se non imparano anche loro 🙂 Comunque non è vero che non ci sono ricercatori che divulgano in rete e aumenteranno, come succede da tempo in altri paesi.
    Società della Conoscenza come Società dell’Esclusione me la devi spiegare che non l’ho capita 🙂

  5. Gian, hai pienamente ragione.
    Il problema è che, a mio avviso, ci sono ancora alcuni grossi problemi di fondo.

    Partendo dal presupposto che alla fine del mese occorre mangiare non posso non fare i conti con la struttura che mi paga lo stipendio (poco importa sia un’università, il cnrs o chi per loro). Queste strutture si basano su determinati strumenti per capire se vale o meno la pena che io resti alle loro dipendenze. E per mantenere il posto tutti sono costretti a cercare di entrare all’interno di queste griglie.
    Sapendo che parliamo di riviste e organi riconosciuti che la maggior parte delle volte impediscono la divulgazione dei risultati pena la mancata pubblicazione mi ritrovo a poter parlare di molte meno cose rispetto a quanto vorrei.

    Non posso parlare (se non nella cerchia dei collaboratori e conoscenti) delle ricerche attuali per proteggerle almeno fino ad un certo grado di sviluppo perché l’importante è la competizione scientifica e non la scienza in sé.
    Non posso parlare di quanto sto pubblicando altrimenti non me lo pubblicano.

    Di cosa posso allora parlare?
    Innanzitutto posso presentare la mia visione del mondo e divulgare quanto da essa deriva parlando di tutti gli argomenti che mi passano per la testa. Questo è, credo per antonomasia, il miglior tipo di divulgazione. Occorre tuttavia ammettere che solo una minima parte dei ricercatori sia interessata a tutto questo, limitandosi gli altri al piacere del fare ricerca e a quello di restare un po’ in un universo parallelo rispetto alla vita reale.
    Secondariamente posso parlare del sistema, di cosa va e di cosa non va. Degli argomenti che mi interessano anche se non mi toccano necessariamente da vicino.

    Qui c’è possibilità di esprimersi e di far passare molta conoscenza. Ma come si possono eliminare i compartimenti stagni dalla società della scienza finché ci sarà ogni due anni un conteggio delle pubblicazioni su riviste ben determinate e da quelle dipenderà il mio futuro poter mangiare oppure no? Non è il mondo accademico ad essere chiuso, è la mercificazione dello stesso che ha creato tutto questo. Ed è fenomeno estremamente recente e legato proprio alla società dell’informazione. La società della conoscenza è anche società dell’esclusione paradossalmente.

    Da qui dovremmo forse partire a riflettere per il futuro

  6. Come dicevo anche a commento del post di Mafe, non dobbiamo concentrarci troppo su quella che è la chiusura del mondo accademico, ma sulla progressiva pressione che pone la rete a queste realtà.
    Nella Società della Conoscenza non hanno senso i scompartimenti stagni, la comunità ha sempre più bisogno di conoscenza e l’informazione nella rete si destruttura e moltiplica.

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